Per contrastare le fake news e la disinformazione NON serve la “censura” ma è necessario puntare sulla “media education”
Questo articolo fa parte del progetto “Digitale Diffuso”, puoi ascoltare i Podcast di Radio Diffusa dedicati ad infodemia e Fake News
La media education (educazione ai media e nuovi media) è fondamentale perché serve a:
- Capire come funzionano i media
- Aumentare le competenze legate alla comprensione di quanto leggiamo ascoltiamo e vediamo “sui media”. Comprendere il significato (anche quello tra le righe o nascosto) di un “messaggio“. Per esempio molti utenti non riconoscono quando visualizzano una pubblicità o un normale articolo/post.
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Spiegare COME costruire messaggi, le così dette competenze autoriali, fondamentali in un sistema dove “siamo tutti, potenzialmente autori di messaggi comunicativi“, e quello che “scriviamo” sui social può essere offensivo, violento, alimentare pregiudizi.
Le nostre azioni (ad esempio un commento su Facebook scritto senza pensare troppo) possono infatti contribuire alla diffusione di false notizie.
Per non cadere nella trappola delle notizie inventate (o della mala informazione) su internet è necessario in prima battuta:
1. conoscere come “funzionano” i “luoghi della rete” dove le fake news sembrano trovare maggiore diffusione.
2. comprendere cosa fare per interpretare correttamente un contenuto / una notizia che ci viene proposta in rete.
Le fake news non sono nate con internet
Le notizie inventate non sono un fenomeno nato con internet o con Facebook.
Le “fake news” esistono da secoli:
(https://it.wikipedia.org/wiki/Fake_news#Esempi_storici)
Solo per fare un esempio in tempi recenti ricordiamoci che la Guerra in Iraq è supportata da una bufala non certo “nata su internet“, le armi di distruzione di massa nell’arsenale iracheno.
Tra i tanti approfondimenti che puoi leggere in rete, te ne segnalo uno: Iraq, la madre di tutte le bufale
Notizia inventata ma verosimile, creata per interessi geopolitici. Su questo, se ti piace il cinema puoi vedere il film del 2017 di Rob Reiner Attacco alla verità – shock and wave, che narra le vicende dei giornalisti della media company Knight Ridder.
I social amplificano la portata e la diffusione delle fake news? Influenzando la pubblica opinione?
Non tutte le persone vengono influenzate allo stesso modo da quello che leggono, ascoltano o vedono su un media.
La stessa identica notizia sottoposta a gruppi di persone differenti sarà interpretata in modo diverso a seconda di: gruppo sociale di appartenenza, cultura, identità, valori, classe sociale ecc.
Interpretiamo la realtà attraverso la nostra conoscenza, la nostra esperienza, quella delle persone di cui ci fidiamo e siamo influenzati dalla “cultura e dai valori condivisi” cui siamo esposti (religione, usanze, credenze ecc.).
Uno dei motivi per cui la disinformazione si diffonde è giustappunto la “fiducia“, la notizia conferma la mia opinione, il mio pregiudizio, viene “postata” da un caro amico su Facebook, è più probabile che gli dia credito senza verificare altre opinioni o consultare altre fonti. “Mi fido, quindi la notizia deve essere vera“.
Spesso internet funge da cassa di risonanza ed amplifica la diffusione delle fake news.
Perché questo avviene?
Per rispondere dobbiamo come prima cosa comprendere il contesto.
Come funzionano i “luoghi” della rete che frequentiamo quotidianamente?
Facebook e Google selezionano e forniscono le informazioni che visualizziamo sulla base di algoritmi.
Algoritmo: processo logico formale strutturato in passaggi logici elementari che conduce a un risultato ben definito in un numero finito di passaggi. Definizione tratta da: Ippolita, Tecnologie del dominio
Quello che vediamo e troviamo su Google e su Facebook è “selezionato” da algoritmi che decidono cosa è meglio mostrarci durante le nostre ricerche (su Google) o durante la nostra esplorazione della bacheca (su Facebook).
Meglio per chi?
Non ho una risposta secca, non sempre il sistema binario funziona….. tra il “bianco” e il “nero” ci sono infinite sfumature di grigio.
“DIPENDE” è la mia risposta, ma proviamo ad esplorare un pò meglio la funzione degli algoritmi in riferimento a Facebook e Google, i luoghi che utilizziamo più spesso come base di partenza per le nostre “navigazioni in rete” o per informarci.
Gli algoritmi sono mediatori tra le persone e le informazioni
L’algoritmo decide cosa mostrarci, cosa ci interessa, sulla base di tantissimi fattori che vengono aggregati in una frazione di secondo, il tempo di presentarci, tra miliardi di possibilità i risultati di una ricerca su Google, o di “caricare” la nostra bacheca quando accediamo a Facebook.
Questo procedimento è normale in quanto le informazioni presenti in rete sono tantissime e non potremmo “processarle” da soli senza l’ausilio di “facilitatori“.
Gli algoritmi di Facebook e Google scelgono cosa mostrarci
Ti sei mai chiesto quando fai una ricerca su Google se i risultati che ti appaiono sono davvero i MIGLIORI per te?
Oppure gli unici risultati possibili?
La stessa cosa quando accedi alla bacheca di Facebook… l’algoritmo seleziona le migliori informazioni per te?
Forse si, forse no.
Per farti una tua idea in merito, ti propongo di valutare gli algoritmi a partire da alcune informazioni certe che abbiamo a disposizione.
L’obiettivo non è quello di darti una risposta univoca, ma quello di comprenderne meglio il funzionamento.
1. Gli algoritmi sono gestiti da aziende private
Primo elemento da considerare, gli algoritmi sono gestiti da aziende private ed è abbastanza normale che Google e Facebook abbiano come obiettivo quello di fare profitti.
Non sto dicendo che questo sia un bene o un male, sto dicendo che è certo che Facebook non sia solo un social network ma una Azienda Privata, stesso discorso per Google.
Entrambe queste Aziende fanno profitti grazie alla “vendita di pubblicità”.
2. Gli algoritmi sono stati creati da persone
Fin dalla loro creazione gli algoritmi vengono creati e progettati sulla base di determinati fattori, escludendone altri possibili. Un pò come quando facciamo una fotografia scegliamo l’inquadratura escludendo centinaia di opzioni e “realtà alternative”.
Sono creati da persone, dunque manifestano anche il “pensiero” dei loro creatori, il loro concetto di “miglior risultato possibile“.
Esempio pratico, un pò tecnico ma spero semplice:
nella SEO (search engine optimization) sono molto importanti i link che altri siti fanno verso una risorsa web/pagina web (tutti i manuali di SEO te lo confermeranno).
L’algoritmo di google dà rilevanza ai link fin dalle sue origini e la gran parte della comunità SEO, di cui faccio parte, concorderà.
“L’idea è nata ispirandosi al modo in cui gli scienziati “misurano l’importanza” dei paper scientifici. Questo si fa guardando il numero di citazioni fatti da altri paper scientifici a quello preso in esame. Sergey e Larry [gli “inventori” di Google] studiano questo concetto e lo applicano al web misurando le citazioni (i link) tra le pagine.” (https://ahrefs.com/blog/it/google-pagerank/)
Ci sono sempre scelte da fare, gli algoritmi “incarnano” anche il pensiero dei loro creatori (sviluppatori e aziende).
I link (link popularity) non sono l’unico segnale per incrementare la visibilità di un sito su Google e forse neanche il più importante in assoluto, ma è un fatto che i creatori di Google lo abbiano scelto come “segnale importante” per selezionare i migliori risultati.
Come è vero che non basta fare link a caso, perché la realtà è molto più complessa 🙂
3. Gli algoritmi di Facebook e Google non sono trasparenti.
Gli algoritmi che governano Google e Facebook sono opachi: non è noto in modo esatto il loro funzionamento
Per esempio, non è dato sapere con esattezza, come Google sceglie i migliori risultati quando faccio una ricerca, ci sono informazioni, indizi, ma l’algoritmo resta opaco.
Un interessante paradosso, evidenziato secondo me molto bene dal lavoro dei ricercatori di Ippolita.net, è tra l’opacità degli algoritmi (non ne conosciamo il funzionamento fino in fondo) e la trasparenza cui sono invitati gli utenti: resta loggato sempre, raccontaci cosa hai fatto oggi, tagga un amico, metti mi piace…. eccetera.
Non penso che ci sia un addetto ai lavori, ad esempio, che neghi che su Facebook questo “invitare l’utente a fare qualcosa” serva a profilare sempre meglio l’utente.
Come Google anche Facebook crea profitti vendendo inserzioni pubblicitarie.
Le parole che usiamo sono importanti e “plasmano” la nostra rappresentazione del mondo.
Che vuol dire Profilare?
Il termine deriva da “profiling” ovvero il metodo con cui i criminologi tracciano il profilo preciso di un “sospettato“, lo avrai visto in un film o in una serie TV poliziesca, quando il detective di turno traccia un “profilo” del “criminale” che sta cercando, profiling significa:
“descrizione del profilo psicologico e comportamentale dell’autore di un crimine.”
“profilazione s. f. [in marketing]: Stesura di un profilo, mediante l’identificazione e la raccolta dei dati personali e delle abitudini caratteristiche di qualcuno.”
http://www.treccani.it/vocabolario/profilazione_%28Neologismi%29/
Qualche collega/addetto ai lavori penserà: vero. Ma alla fine sono sempre le singole scelte individuali che educano l’algoritmo……. quindi ognun* ha l’algoritmo che si merita.
Ragionamento che considera solo un punto di vista parziale:
è il singolo con il suo comportamento che…. (aggiungi una azione a piacimento).
Questo approccio è molto parziale perché il “singolo”, ad esempio, compie azioni in relazione con una interfaccia (su cui non decide) “governata” da un algoritmo opaco di proprietà di un’azienda privata che crea profitti vendendo pubblicità.
Ma non voglio entrare nel “filosofico” almeno in questo post, restiamo “sul pezzo“, ci sono altre certezze nel funzionamento degli algoritmi da considerare.
4. Gli algoritmi possono essere “manipolati”.
La SEO può esser vista come una manipolazione dell’algoritmo di Google, affinché il sito internet o l’e-commerce del committente venga mostrato agli utenti che cercano determinati argomenti sul motore di ricerca.
Sopra ho fatto l’esempio dei link (come elemento importante in una strategia seo).
Potrei creare un intero sito web con il solo scopo di mettere dei link verso altri siti “da spingere“?
Assolutamente si.
Detta in altri termini, i consulenti e le agenzie SEO ma lo stesso discorso vale anche per i marketer, i social media manager, ecc. possono essere visti in vari modi a seconda del loro “approccio” e della loro “etica del lavoro” (un esempio considerando Google):
- mediatori tra utente, algoritmo e una pagina web
- facilitatori per aiutare google a comprendere il significato esatto di una risorsa presente in rete (ad esempio una scheda prodotto di un ecommerce)
- manipolatori per fare in modo che una pagina scali le posizioni sul motore di ricerca per una determinata query di ricerca, sfruttando le caratteristiche (o le debolezze) dell’algoritmo.
Quel che è certo è che la mediazione avviene tra vari attori (esempio sempre su Google):
- l’utente che usa un’interfaccia per trovare informazioni, prodotti, luoghi eccetera
- un risorsa presente sul web (immagine, pagina web, video eccetera)
- l’algoritmo che decide la gerarchia dei risultati da mostrare provando ad interpretare cosa desidera l’utente quando scrive qualcosa su google (o quando usa la ricerca vocale)
- l’autore della pagina o del post più eventualmente il seo o il social media manager o il marketer che lavorano a quel contenuto/sito.
Facebook ha logiche diverse, ma con dinamiche di “mediazione” similari.
Per esempio esistono migliaia e migliaia di profili social falsi oppure è possibile “comprare” con pochi euro: like, condivisioni, commenti allo scopo di “manipolare la popolarità di un post per alimentare la sua diffusione” (https://www.wired.it/internet/social-network/2019/12/10/social-network-profili-falsi/)
5. L’algoritmo di Facebook favorisce le “echo chamber”
Detta in due parole, Facebook tende a presentarci risultati simili o risultati su cui l’utente sarà invogliato ad interagire.
“Echo-chamber. Nella società contemporanea dei mezzi di comunicazione di massa, caratterizzata da forte interattività, situazione in cui informazioni, idee o credenze più o meno veritiere vengono amplificate da una ripetitiva trasmissione e ritrasmissione all’interno di un àmbito omogeneo e chiuso, in cui visioni e interpretazioni divergenti finiscono per non trovare più considerazione.
(…) la tendenza ad aggregarsi con persone con le stesse attitudini e interessi [è] un processo determinante sia nel rinforzare l’echo-chamber sia nel determinare la dimensione di un processo virale“.
(http://www.treccani.it/vocabolario/echo-chamber_(Neologismi)/)
Gli “algoritmi” che mostrano i risultati sulle nostre bacheche Facebook sono fortemente influenzati dalle nostre interazioni (condivisioni, commenti, like, click, cuoricini).
Mostrano quello che pensano ci “piacerà” / su cui abbiamo più probabilità di interagire.
Per questo si parla di “bolle” in cui siamo “immersi” e di possibilità, per tanti utenti, di restare “prigionieri” nelle proprie bolle con poche possibilità di imbattersi in opinioni e pensieri diversi rispetto alle proprie credenze (e a quelle della propria cerchia di amicizie).
Noi utenti tendiamo a visualizzare [perché così funziona l’algoritmo] post e contenuti che “confermano il nostro punto di vista, che ci sono graditi, o che ci suscitano forti emozioni e per tanto siamo più disposti ad interagirci”.
Questo processo porta un beneficio?
Per Facebook sicuramente si:
Aumentando le interazioni che compiono gli utenti, Facebook riesce a profilarli meglio e di conseguenza a vendere la pubblicità alle aziende che creano gli annunci pubblicitari che vediamo sule nostre bacheche.
Porta un beneficio alle aziende che possono mirare la pubblicità ad un pubblico preciso, ma siamo sicuri che il restare “chiusi” in “bolle” rigidamente separate porti vantaggi per noi utenti e alla società nel suo complesso?
A mio giudizio, il costo sociale è potenzialmente enorme: riduzionismo, contenuti molto simili, manipolazione (pensa al caso Cambridge Analytica o i recenti casi di fake news sui vaccini), “mondi” che evitano il confronto perché non si incontrano tra loro (feroci polemiche a parte), ripetizioni di notizie simili, potenziale diffusione di “titoloni farlocchi” o forzati (nelle news) creati solo per fare click, narrazioni tossiche.
Solo per fare esempi senza introdurre altri temi.
In “alcune bolle” le diffusioni di fake news o di contenuti “acchiappa-click” con titoli altisonanti e scandalistici poco allineati poi al testo dell’articolo, possono diventare esponenziali (perché l’algoritmo riproporrà quella notizia ad utenti che hanno maggiori possibilità di interazione) o perché altri nella mia cerchia di amici hanno condiviso quel contenuto sulle loro bacheche.
Le fake news, sono costruite per stimolare reazioni e risposte emotive immediate perché questo può essere premiato dall’algoritmo con un aumento di visibilità.
6. Molti siti internet monetizzano con la pubblicità. Di conseguenza con le visite che ricevono.
I soldi non hanno odore recita un proverbio…
Alcune notizie possono nascondere semplicemente interessi commerciali, parlare di un “prodotto” al solo ed esclusivo fine di promuoverlo, magari con una notizia esagerata ma “verosimile” o grazie ad una lettura parziale di un dato statistico.
Altre possono essere create al solo fine di indurre l’utente a “leggere la notizia” (anche se falsa, in toto o in parte) perché il sito fa profitti grazie alle visite degli utenti (grazie alla pubblicità, per esempio tramite il servizio Google Adsense che paga siti, blog, testate che ospitano le inserzioni pubblicitarie di Google).
La dimensione “mercato” ha assunto negli ultimi anni un peso enorme su internet.
Togliere “spazio” al mercato è una delle sfide cruciali del nostro presente.
Non solo, spesso le notizie inventate (ma verosimili) sono utilizzate a fini politici o per interessi politici, per scopi elettorali. Ad esempio per convincere una parte di elettori che la “minoranza di turno” è la causa di tutti i nostri mali.
7. L’interfaccia di Facebook invita costantemente ad “agire velocemente”
Non pensare, agisci, clicca, commenta, gioca, l’importante è che fai qualcosa, che agisci rapidamente, del resto non ci viene ripetuto spesso che la velocità è un valore in sè?
Un post su un social, lo scopriamo subito, dura poco tempo prima di essere dimenticato, perché il meccanismo è quello di “scorrere” fino a quando qualcosa di “sensazionale” attira la nostra attenzione e ci fa “fermare“.
Uno scroll frettoloso, simile al meccanismo e allo scroll delle “slot machine”
La fretta fa i gattini ciechi recita un altro proverbio….
Anche velocità e semplificazione in rete favoriscono la diffusione di fake news
La semplificazione, la velocità di risposta, l’emotività spesso utilizzata ad arte sui social possono ostacolare la comprensione razionale e l’autonomia delle persone.
Ti sei mai pentit* dell’invio frettoloso di un messaggio?
Cosa accadrebbe se l’interfaccia di Facebook ci avvisasse prima di postare un commento con un messaggio “Sei proprio sicuro di voler commentare questo post? Hai riletto quello che hai scritto?”.
Quanto questa modifica all’interfaccia potrebbe influenzare il “numero di messaggi che ogni giorno vengono lasciati su Facebook”?
Le interfacce, come gli algoritmi, non sono “neutre” la loro realizzazione influenza (ed in alcune circostanze, determina) il comportamento degli utenti che le utilizzano.
Dal “generale” al particolare: consigli per riconoscere la “singola” fake news…
Ora che abbiamo un pò più chiaro il “contesto“, possiamo provare a darci dei “controlli” sulla singola notizia che possono aiutare a capire se siamo di fronte a una notizia inventata (o potenzialmente tale).
- Controlla SEMPRE l’url, il link della fonte spesso è ingannevole e approfitta della nostra fretta, della nostra disattenzione, spacciando un nome simile a quello di una “testata giornalistica autorevole” solo per fare un esempio. Ma attenzione, non sempre una “testata giornalistica autorevole” è sinonimo di verità…
- Controlla il nome reale del blog o del giornale
- Valuta se il titolo invoglia in modo esagerato al “click”. Il così detto “clickbaiting” titoli che spingono l’utente al click (molti siti guadagnano aumentando le visite al loro sito web).
- Controlla se il sito in questione ha una pagina “chi siamo”, “contatti” e chi sono gli autori. Ti basta anche fare una ricerca su google per verificare se si tratta di persone reali o se sono pagine create ad-hoc per gli algoritmi, per “spammare Google o Facebook”, approfondirò questo aspetto in futuro.
- La notizia è curata anche nella forma? Formattazione, grassetti, corsivi, ortografia, immagini, approfondimenti.
- Riporta link a fonti esterne? Che tipo di link? A quali siti rimandano?
- Le immagini riportate sono già state pubblicate da altri siti? In che data? Una foto può essere utilizzata per “manipolare” un contenuto, semplicemente togliendola dal contesto originale in cui è stata scattata.
Ecco un utile kit di verifica dell’informazione social creato dall’amico e collega Enrico Bisenzi:
Chi Dice Cosa (pdf)
Oltre la “lettura frettolosa”: comprendere ed interpretare il messaggio
La media education prevede oltre alla comprensione “tecnica” del funzionamento di un media lo sviluppo di competenze legate all’interpretazione di un messaggio (post, presunta fake news, pubblicità, poco importa).
Alcuni semplici consigli per “leggere” una notizia e/o una potenziale fake news:
- Usa sempre il tuo buon senso, il tuo punto di vista è unico, chiediti sempre se quello che stai leggendo è esagerato o nasconde una valutazione ideologica, basta pensare alla campagna anti-migranti che da anni avvelena i nostri social, anche grazie alle fake news.
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Pensiero critico: valuta gli argomenti anche da un punto di vista razionale.
Rifletti su cosa leggi, non farti limitare dai pregiudizi (che tutti abbiamo), pensa e non reagire solo di “pancia“.
Spesso molte “fake” accostano una notizia “vera” a fatti completamente inventati, presta attenzione agli argomenti che vengono portati.
Non accettare la notizia come vera per “fede” pensa sempre alle implicazioni politiche e se dietro la notizia può nascondersi un interesse particolare. -
Riflessione e approfondimento. La velocità di reazione, magari in preda all’emotività, non è sempre la miglior risposta, le notizie che leggi spesso devono essere meditate e filtrate tramite la razionalità.
Quando scorri le notizie sulla tua bacheca social fermati e rifletti, privilegia il “poco” al “tanto”. - Chiediti sempre chi ha scritto la notizia che stai leggendo.
- Luogo e data sono importanti perché aiutano a contestualizzare, spesso notizie vecchie vengono “ri-proposte” a distanza di tempo per far passare messaggi politici.
- L’argomentazione nel testo o nel video porta fonti, testimoni, citazioni, verifiche? Sono reali o generiche e non verificabili?
- Non sempre i dati statistici sono sinonimo di “verità” e “neutralità”. Anche i numeri possono essere “forzati” o viziati da letture parziali e tendenziose.
- La soglia di attenzione su internet è bassa, si parla di “pochi secondi per attirare l’attenzione dell’utente”. O catturare l’attenzione come fossimo delle prede da “accalappiare” quando fruiamo di un social o di un contenuto, questa soglia si abbassa sempre più, sforziamoci di alzarla!
- Trovi conferme in rete? Quante sono?
- Le conferme che trovi sono autorevoli fonti di cui ti puoi fidare?
- C’è un interesse economico diretto, oppure qualcosa che ti invoglia in modo non trasparente a fare un click o una azione specifica? Lascia la tua mail, clicca, condividi se sei indignato 🙂
- C’è una forzatura “politica” della notizia? Ovvero una notizia viene riportata dando informazioni non rilevanti per i “fatti” ma che possono alimentare un pregiudizio? Ad esempio è rilevante l’abbigliamento di una ragazza che ha subito una violenza? Ovviamente no.
- Ci sono altre versioni della stessa storia? Altri punti di vista differenti che non sono stati considerati?
- Le immagini ed i video, sono in “linea” con la notizia o hanno come scopo quello di attirare l’attenzione o confermare un pregiudizio? Hai qualche dubbio in merito?
- Confrontati con altri. Il confronto può aiutare la comprensione e a leggere tra le righe il messaggio di comunicazione cui siamo esposti, ad esempio per individuarne interessi, pregiudizi, letture parziali ed ideologiche, interpretare la realtà è un lavoro collettivo.
Due considerazioni finali….
La rete oggi è diventata molto complessa e spetta anche a noi “addetti ai lavori” contribuire ad un dibattito su come il nostro operato quotidiano influenza gli “spazi della rete“.
Perché riflettere su come il nostro lavoro interagisce con la società è interessante quanto dibattere sull’ultimo aggiornamento di Google, forse molto di più.
Grazie per aver letto questo “pippone” 🙂
Per approfondire ascolta i podcast di Radio Diffusa dedicati a infodemia e fake news:
Digitale Diffuso sezione infodemia e fake news
Ed il nostro podcast “Non scherziamo sulla guerra!” dedicato a fake news e propaganda in questi insopportabili tempi di guerra:
Fonti e approfondimenti belli e consigliati da leggere:
- Pier Cesare Rivoltella, Media education, Scholé 2019
- Ippolita, Nell’acquario di Facebook, Ledizioni 2012
- Ippolita, Il lato oscuro di Google, Milieu 2018
- Ippolita, Tecnologie del dominio. Lessico minimo di autodifesa digitale, Meltemi 2017
- Jacopo Franchi, Solitudini connesse, Agenzia X 2019
- Bruno Mastroianni, La Disputa felice, Bruno Cesati Editore 2017
- Andrea Fontana, Fake news: sicuri che sia falso?, Hoepli 2018
- Daniel Miller, Elisabetta Costa, Nell Haynes, Tom McDonald, Razvan Nicolescu, Jolynna Sinanan, Juliano Spyer, Shriram Venkatraman, Xinyuan Wang, Gabriella D’Agostino (traduttore), Vincenzo Matera (traduttore), Come il mondo ha cambiato i social media, Ledizioni 2018
- Franco La Cecla, Ivan Illich e l’arte di vivere, Elèuthera 2018
- Thomas Hylland Eriksen, Tempo tiranno. Velocità e lentezza nell’era informatica, Elèuthera 2003
-
Come “funziona” Google (inizia da qua):
https://support.google.com/webmasters/answer/70897?hl=it -
Come “funziona” Facebook (inizia da qua):
https://www.facebook.com/terms -
Il manifesto della comunicazione non ostile:
https://paroleostili.it/manifesto/
Portali e progetti nati per svelare e contrastare il fenomeno delle fake news:
Debunking.
Il termine debunking è costituito da un prefisso de-, che significa “rimuovere”, e la parola bunk che vuol dire “fandonia”.
https://it.wikipedia.org/wiki/Debunker
Alcuni link:
-
Il servizio di “fact checking” di Google:
https://toolbox.google.com/factcheck/explorer -
Portali che provano a svelare e contrastare le più note fake news:
https://www.bufale.net/
https://www.butac.it/
https://bufalopedia.blogspot.com/ -
Come valutare le fonte di informazioni su Google (da google support):
https://support.google.com/websearch/answer/12003459?hl=it -
Scoprire su quali siti compare un’immagine può essere utile:
https://www.google.it/imghp?hl=it&tab=wi -
Youtube “data viewer”, chi ha creato quel video?
https://citizenevidence.amnestyusa.org/ - Dal 1° Giugno 2020 l’Istituto Universitario Europeo di Firenze coordina EDMO un progetto che sembra interessante sulla disinformazione online: https://edmo.eu/